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sabato 29 giugno 2013

Non abbiamo nulla da insegnare!

Mi ricordo bene le lezioni di storia delle elementari.
Ci hanno massacrato per farci imparare la vita dell'uomo preistorico.

Mi viene ancora in mento lo schema dell'evoluzione sociale:
prima piccoli branchi, poi gruppi più grossi. Prima nomadi cacciatori e raccoglitori, poi stanziali allevatori e agricoltori. La nascita delle grandi civiltà!

Ci indicavano questa strategia come invenzione dell'uomo. Grandi conquiste uniche nel loro genere.

Passano gli anni e gli studi e poi la tua passione si imbatte i uno dei più grandi spettacoli della natura. Solo in quel momento capisci che ciò che ti hanno inculcato in testa non era vero. Noi non siamo superiori, non siamo unici e non dobbiamo avere la presunzione di insegnare niente. Non c'è cosa fatta da noi in terra che non sia già stata fatta in natura. Ci abbiamo messo centinaia d'anni per volare. Ci sfidiamo per andare più veloce, per immergerci più in profondità, per mimetizzarci meglio, per produrre più cibo e ogni volta ci accorgiamo che c'è un essere vivente che lo fa già e lo fa meglio.

L'unica cosa che ha fatto in più l'uomo è allontanarsi da questo pianeta e immergersi nello spazio. Per tutto il resto abbiamo avversari troppo preparati da battere.

La nostra società organizzata non conta nulla rispetto a quello che vedrete qua sotto. Nulla.
Qua ci sono agricoltori, allevatori, cacciatori e raccoglitori. C'è una società evoluta, organizzata e stabile.

Il bello è che questa organizzazione non è umana ed è nata molto prima dei nostri cari uomini primitivi. Noi non abbiamo inventato nulla.

LE FORMICHE:

(Cacciatrici e raccoglitrici - part 1) 

(Cacciatrici e raccoglitrici - part 2)

(formiche che proteggono il proprio gregge di afidi dall'attacco dei predatori)

(formica che alleva e munge i propri afidi)

(formiche che tagliano e raccolgono)

(trasportano, trasformano e coltivano funghi)

(società delle formiche)

Una società collaudata, controllata e ottimizzata. Dove tutti i componenti vivono per gli altri e dove ognuno ha di che vivere.
Dove la superiorità del singolo non conta (e non esiste!) ma ciò che conta è la crescita della propria famiglia.

ABBIAMO ANCORA TANTO DA IMPARARE!

giovedì 27 giugno 2013

i "nemici" dell'orto (1° atto)

In questo post vedremo quali sono i principali e comuni nemici del nostro orto.
La maggior parte di questi avversari attaccano a sorpresa e con una velocità tale da prenderci alla sprovvista.

Possiamo dividere in 3 grandi gruppi l'esercito pronto ad attaccare le nostre piante:
- Insetti: afidi e larve di lepidotteri
- Molluschi: lumache e limacce
- Funghi: oidio e peronospora
(non vedremo virus e batteri perché più rari e perché non possiamo attuare una difesa attiva ma un insieme di buone pratiche)

La strategia comune a tutti questi viventi è quella di attaccare sviluppandosi molto rapidamente e colonizzando velocemente i nostri ortaggi.

Oggi ci concentreremo solo sugli insetti.

AFIDI:
Gli afidi (comunemente chiamati pidocchi) sono insetti di piccolissime dimensioni che abitualmente formano colonie non organizzate in vere e proprie società (come formiche o api).
Attraverso il particolare apparato boccale ad ago riescono a bucare il tessuto vegetale e succhiare la linfa altamente zuccherina delle nostre piante. Quando una colonia si concentra su di un germoglio è in grado di farlo avvizzire in breve tempo. Il danno può essere permanente specie su piante orticole che, rispetto a piante superiori, possiedono un numero di germogli inferiori.
Un danno a uno o più germogli può comportare una perdita di produzione evidente e un pesante stress per la pianta.
Questo è il cosiddetto danno diretto.

 (afide che succhia la linfa)

Gli afidi bucano la pianta e queste aperture permettono a batteri, funghi e virus un più facile ingresso. Dobbiamo immaginarci un muro di difesa.
All'esterno c'è un esercito di avversari pronti che però non riescono a varcarlo. All'improvviso arriva un essere molto più grosso dotato di martello pneumatico che crea dei varchi. Da lì possono finalmente entrare una serie di agenti potenzialmente pericolosi.
E' ciò che vien definito danno indiretto.

Altro danno indiretto è la capacità degli afidi di trasportare malattie virali. Succhiano linfa da una pianta malata e spostandosi su una sana rischiano di infettarla.

Non bisogna dunque sottovalutare questi piccoli esserini.

La loro strategia riproduttiva è la vera carta vincente.Sono in grado di far nascere decine di generazioni da uova non fecondate. E' ciò che si chiama PARTENOGENESI.
Si creano così individui adulti femmine "incomplete" ma capaci a loro volta di riprodursi per questa via.

 (partenogenesi - schema)

In una riproduzione sessuale normale la probabilità che la prole sia maschio è il 50%.
Nella partenogenesi si eliminano i maschi (che di per sé non sono in grado di riprodursi), privilegiando le femmine. La crescita è velocissima ed esponenziale. Da poche piccole uova, solitamente nascoste alla base del picciolo fogliare, nasce un vero e proprio esercito in brevissimo tempo. 

Difesa possibile:
Nonostante questa loro capacità hanno un punto debole. Il loro esoscheletro (rivestimento esterno o corazza) è molto sottile. Hanno quindi un'alta sensibilità alle sostanze urticanti.
La soluzione è il macerato anti-afidi che è stato un argomento trattato in un nostro post passato. Funziona molto bene, costa poco, è facile da fare ed è totalmente biologico.
QUI POTRETE VEDERE COME SI FA.

LARVE DI LEPIDOTTERI:
Quanto sono belle le farfalle. Con i loro colori e la loro agilità nel volo.
La loro prole, invece, non ci piace molto.
Le larve dei lepidotteri, più spesso conosciute con il nome di bruchi, sono tra gli animali più voraci al mondo. In rapporto alla loro dimensione mangiano molto più materiale vegetale rispetto all'elefante africano!
Sono costretti a mangiare tanto per avere l'energia necessaria a svilupparsi in breve tempo. Alcuni bruchi crescono di 20-30 volte nell'arco di pochi giorni.
Passano la loro fase larvale a mangiare e sono in grado di defogliare completamente intere piante.

(bruchi che banchettano)

Fortunatamente, non essendo ancora esemplari adulti, non sono in grado di riprodursi. Se sulle vostre piante ci sono 3 bruchi, 3 resteranno fino alla metamorfosi.
Il danno è evidente. La pianta defogliata soffre. La capacità fotosintetica si riduce e lo sforzo per creare nuovi germogli e e nuove foglie va a scapito della produzione.

Difesa possibile:
Molti bruchi sono schizzinosi a riguardo della dieta. Alcuni attaccano solo determinate specie. Se si nota un bruco su una foglia, si può staccare quella foglia e gettarla lontano. La lentezza estenuante di questi animali non permetterà all'aggressore di ritornare sulla pianta.
Se ve e sono più d'uno che stano aggredendo diverse foglie potete utilizzare il macerato anti-afide. In questo caso l'azione è di diverso tipo. Il liquido, rivestendo le foglie, le rende immangiabili.
I bruchi sono costretti ad allontanarsi alla ricerca di altro materiale vegetale.

Questi due comuni animali sono diffusi in tutti gli orti.
State molto attenti ai sintomi. Avvizzimenti sospetti, buchi e rosicate, sviluppo di nuovi germogli e sostanze appiccicose sulle foglie (melata). Tutti sintomi di possibile attacco di questi due nemici.
Appena ne vedete qualche esemplare è ora di spruzzare! La velocità è la nostra arma vincente.


martedì 25 giugno 2013

L'origine della tarantella

Non tutti sanno che il più famoso ballo delle zone meridionali d'Italia si è originato dall'interazione tra uomo, ambiente e fauna locale.

La tarantella è il più antico ballo popolare italiano ancora in piena attività. Se ne hanno tracce dal medioevo e ancora oggi è segno distintivo di intere comunità popolari.

Molti pensano che la tarantella (in certe zone chiamata taranta) si sia originata a causa del morso di un ragno, la tarantola italiana, che stimolava l'uomo colpito a muoversi con spasmi muscolari violenti e incontrollati in una danza agitata.

In realtà l'origine non è esattamente questa.
La cosiddetta "tarantola italiana" (Lycosa tarentula) in realtà possiede un veleno che inetta nella preda ma non ha intensità così elevata da creare spasmi nell'uomo. Produce un dolore acuto ma di durata breve che assomiglia alla puntura di vespa.

 (Lycosa tarentula ben mimetizzata)

La tarantella nasce sì da un ragno ma non dalla tarantola bensì dal più pericoloso ragno italiano: la malmignatta.
La malmignatta o vedova nera (Latrodectus tredecimguttatus) è un ragno tipicamente mediterraneo. Come indica il nome scientifico è identificabile dalla presenza di 13 macchie irregolari rosse sull'addome. Corpo compatto tondeggiante e lunghe zampe nere completano l'animale.

(tipico esemplare di malmignatta)

Non è grosso. In totale può essere lungo un paio di centimetri al massimo.

In questo periodo si trovano nei campi e negli incolti assolati, principalmente sotto i sassi ma anche tra i lunghi fili d'erba dove tessono la loro trappola sericea in attesa di prede.

Non attaccano l'uomo (animale troppo grosso per loro) ma in caso di necessità si difendono con il veleno.
La tossina è neuroattiva ed è molto forte rispetto alla quantità posseduta nelle minuscole ghiandole. L'effetto è veloce.
I sintomi (oltre il dolore del morso) sono composti da fitte addominali, spasmi, debolezza e instabilità fino ad arrivare ad allucinazioni e perdita di cognizione della realtà.

I più colpiti erano certamente i contadini che lavorando a mano e a contatto con la terra erano maggiormente predisposti a questo sgradevole incontro. Inoltre nel caldo periodo estivo, che è quello di maggiore attività del ragno, gli agricoltori lavorano più svestiti e la pelle nuda non offre alcuna protezione dal morso.

I contadini che improvvisamente ballavano in mezzo ai campi hanno dato origine alla tarantella, un ballo tipicamente agreste che univa società agricola, calendario dei lavori ed eventi pagani e/o religiosi.

(quadro dell'800 che ritrae contadini campani intenti a ballare)

Un piccolo ragno che, pur causando dolore, è riuscito a creare una cultura rurale così forte da pervenire fino ai nostri tempi.

E' una storia davvero unica al mondo!  


sabato 22 giugno 2013

Le graminacee. Sappiamo riconoscerle?

Tutti noi conosciamo le graminacee.
Quanti di noi soffrono, seppur leggermente, di allergia alle graminacee?

In questo post diamo indicazioni su come riconoscere immediatamente una graminacea dalle altre specie vegetali. Basta davvero poco.

Anzitutto ci vuole una piccola introduzione di queste piante. Sono vegetali di tipo erbaceo cioè non possiedono fusto legnoso.
Inoltre è la famiglia più numerosa tra la comune erba di campo. Non pensate neppure di poterla evitare. queste piante sono ovunque.
Se voi uscite di casa e raccogliete 5 tipi di erbe spontanee differenti quasi sicuramente starete tenendo in mano anche una o più graminacee.

Le graminacee sono monocotiledoni. Ciò significa che aprendo il seme troveremo il piccolo germoglio attaccato ad un'unica "foglia" o più propriamente cotiledone. Se osserviamo il momento del germogliamento osserveremo che inizialmente esce dal terreno una sola e unica foglia.

Perché sono forti allergeni?
Sono allergeni a causa della loro strategia di impollinazione. Sono piante anemofile cioè utilizzano il vento per diffondere il proprio polline. Moltissimo polline.
Ogni inflorescenza e composta da moltissimi piccoli fiori in grado di produrre molto più polline rispetto ad un fiore entomofilo (cioè che usa gli insetti impollinatori)

Questo polline è anche molto più piccolo. In questo modo potrà spostarsi per moltissimi chilometri attraverso le correnti d'aria.

(polline di graminacea)

Questo insieme di caratteristiche creano problematiche allergiche a persone sensibili. il polline può entrare nelle vie respiratorie in quantità e scatenare la reazione immunitaria.

POCHE REGOLE PER RICONOSCERLE:

- 1: le foglie sono allungate, spesso hanno i bordi taglienti e ruvidi a causa della presenza di cristalli di silice.

 (foglie tipiche di graminacea: mais)

- 2: le nervature fogliari sono parallele e longitudinali.

(foglie di graminacea) 
 
- 3: lo stelo è diviso in nodi e internodi.

 (nodo del fusto)

- 4: i fiori sono generalmente piccoli e insignificanti (verdi o biancastri) organizzati in inflorescenze.

 (inflorescenza)

- 5: le radici sono fascicolate cioè non presentano una radice principale ma una serie di radici intricate.

 (radice fittonante a sinistra e fascicolata a destra)

- 6: capacità di accestimento cioè la possibilità di sviluppare più steli da un unico apparato radicale

 (accestimento)

Se l'erba che abbiamo possiede queste caratteristiche molto probabilmente abbiamo in mano una graminacea.

La semplicità del pane

E' una frase molto diffusa specie nel settore pubblicitario. "Buono e semplice come il pane", utilizzata per promuovere le peggio cose. Una frase di sicuro impatto.
Peccato che dire "semplice come il pane" non ha senso. Per cui sentiamo il dovere di correggere e spiegare a voi in modo molto semplice la complessità del pane.

Il pane ha una storia davvero lunga. Uno dei prodotti derivati da trasformazione più antichi della terra. In questo post non vi spiegheremo come si fa il pane in casa. Per quello vi rimandiamo ai 1000 siti che ne parlano e vi danno pure le ricette. Qua vi spieghiamo cosa c'è dietro. Perché il pane è pane?

Dobbiamo fare un brevissimo inciso. I vegetali (tutti i vegetali) fanno la fotosintesi. Questo lo sapete. Producono quindi glucosio che è uno zucchero semplice. Per dirlo come gli esperti "organicano molecole inorganiche a dare la molecola organica per eccellenza: il glucosio.

Il problema è che il glucosio è una piccola molecola attiva e facilmente utilizzabile e degradabile inadatta ad essere immagazzinata. Per questo la pianta aggancia moltissime molecole di glucosio a formare delle strutture complesse globulari di amido. L'amido è dunque l'insieme di moltissime molecole di glucosio.

 (globuli d'amido colorati con tintura di iodio all'interno di una cellula vegetale)

L'amido viene immagazzinato nelle radici e nei semi che si andranno a formare. Nelle radici servirà come scorta per la pianta stessa, nei semi verrà utilizzato come scorta per il futuro germoglio che nascerà.

Guarda a caso, per fare il pane serve la farina. La farina è il prodotto derivato dalla fine macinazione di semi di differenti cereali. L'uomo ha ricavato l'amido là dove si poteva facilmente recuperare.

La farina per il pane è un serbatoio di amido. Questa macromolecola è difficilmente attaccabile. Per trasformarla di nuovo in glucosio serve l'azione di un enzima specifico.
Per questo la farina, se tenuta i modo corretta, può durare così a lungo nel tempo.
Pochi sono gli organismi in grado di metabolizzarla. Tra questi alcuni funghi come il lievito.

Secondo ingrediente: il lievito.
Il lievito è un fungo speciale. E' unicellulare, cioè composto da una cellula e ha un'altra particolarità fondamentale in panificazione: può sia fermentare che respirare. Vi siete mai chiesti perché lo stesso lievito se messo nel mosto produce vino o birra (bevande alcoliche) e se messo nell'impasto produce il pane?

(lieviti in moltiplicazione)

Non stiamo qua a spiegarvi i motivi (piuttosto complessi). Basta che sappiate che i lieviti fermentano o respirano in base alla concentrazione di zuccheri semplici presenti nell'ambiente in cui si sviluppano.
Avete mai assaggiato un mosto? E' dolcissimo, quasi nauseante! Qui i lieviti fermentano.
L'impasto del pane è invece più salato. Quando c'è minor concentrazione di zuccheri, i lieviti respirano consumando ossigeno e producendo anidride carbonica. Questo gas è il responsabile delle bolle che possiamo vedere tagliando una fetta di pane.

Terzo ingrediente: l'acqua.
Serve non solo per dare plasticità all'impasto e renderlo malleabile e lavorabile ma anche a dare quella quota di umidità che serve per lo sviluppo dei lieviti. Essendo organismi viventi hanno bisogno di acqua per vivere.

Uniti questi tre ingredienti principali cosa fanno i panificatori? Cominciano a impastare con energia. Impastare significa inglobare aria (e quindi ossigeno) all'interno della massa dove i lieviti sono pronti a demolire l'amido, assimilare il glucosio ed espellere anidride carbonica.
Miliardi di lieviti compiranno quest'operazione per ore: è la lievitazione. Il gas prodotto gonfia a vista d'occhio la pagnotta.

 (pagnotta in lievitazione)

Quando le pagnotte sono pronte vanno cotte. Il calore uccide ogni forma vivente fermando la lievitazione inoltre trasforma fisicamente il pane.
Asciuga la massa indurendola, espande l'anidride carbonica interna spaccando e gonfiando ulteriormente il pane che diventa soffice all'interno e croccante all'esterno.
In ultimo, ma certamente non meno importante, ha il potere di denaturare l'amido rimasto e la quota (pur minima) proteica contenuta. La cottura rende molto più digeribile il pane.

 (bolle create dalla lievitazione)

D'ora in poi quando mangerete un pezzo di pane capirete la sua complessità. Miliardi di esseri viventi del tutto invisibili hanno lavorato con noi per donarci questo alimento: il più importante tra tutti. 


giovedì 20 giugno 2013

Il primo comune disobbediente. Da oggi si coltiva canapa!

Oggi parliamo di piccolo comune della provincia di Lucca: Capannori.
Un comune di spiccato indirizzo agricolo della piana di Lucca.

Una notizia gira da marzo di quest'anno. La giunta di Capannori ha deciso di liberalizzare la coltivazione di canapa nel suo comune.


Ricordiamo ai nostri lettori che l'Italia era, fino a 50 anni fa, leader mondiale della coltivazione di canapa da fibra. Una ricchezza completamente rasa al suolo dalla demagogia del proibizionismo.
Ogni comune che possedeva terreni piani e umidi aveva le proprie coltivazioni. Da nord a sud.

La canapa è considerata la fibra vegetale più interessante dal punto di vista tecnologico. Le sue fibre lunghe e cave creano dei tessuti freschi e estremamente isolanti con una potenzialità inaspettata.
I contadini lo avevano capito. Ogni coltivatore aveva il suo piccolo appezzamento personale di canapa dalle quali estraeva le fibre per poter creare indumenti altamente tecnologici nella loro semplicità.

Non è ammissibile aver gettato al vento una potenzialità economica di questo tipo.
Con questo pensiero, il comune di Capannori ha detto "Basta, da marzo nel nostro comune si coltiverà canapa!"

Nonostante il bieco proibizionismo, in Italia e in Europa, le ricerche sulle potenzialità di questa pianta si sono evolute e sono avanzate senza sosta. Si è capito che il potere isolante di questa pianta va ben oltre le aspettative tanto da venir impiegato per la realizzazione di mattoni e pannelli isolanti completamente biodegradabili e ad impatto zero.
La rusticità di questa pianta permette un'alta produzione a bassi costi che favorisce la concorrenza ad altri materiali utilizzati allo scopo (quasi sempre sintetici).

In tempi di crisi, il comune si è impegnato a diversificare il reparto agricolo del territorio creando una rete di professionisti e agricoltori in grado di sviluppare una filiera completa per poter immettere sul mercato materiali per bioedilizia davvero competitivi.

E' il primo progetto al mondo riguardante la coltivazione di canapa da fibra di questa entità.

Articolo del comune:

Articolo de "Il Tirreno":
Capannori torna a coltivare canapa


(Questa è la part 1, se vi interessa c'è anche il seguito QUA!)

mercoledì 19 giugno 2013

La potenza della ginestra

La ginestra (Cytisus scoparius) è una pianta che fa parte delle leguminose (fabaceae).
Un pianta sicuramente comune in tutta la penisola.

Da nord a sud, su pendii soleggiati e asciutti e prevalentemente su rocce calcaree. Questo è l'habitat ideale per questa essenza.

Chi non conosce la ginestra? Il colore dei suoi fiori, gialli come lo zafferano creano macchie di colore visibili a distanza in tarda primavera.

E' una pianta tra le più rustiche. Si adatta bene a molti luoghi differenti e, una volta radicata sul terreno, si diffonde con una certa facilità creando cespi legnosi e duraturi da cui si dipartono annualmente lunghi rami flessibili e verdi che porteranno i fiori.


Nell'immagine si vedono le parti anatomiche principali della ginestra. Dato che è una leguminosa produce dei frutti a baccello ovoidali e piatti lunghi pochi centimetri.

PERCHÉ SCRIVERE UN POST SULLA GINESTRA?

Perché questa pianta così robusta può essere uno strumento per valorizzare luoghi fino ad ora considerati senza valore. Luoghi abbandonati e incolti.

COME?

Ricavando e filando la fibra contenuta in essa. Una fibra resistente e fresca estratta attraverso l'ingenio dell'uomo. Un procedimento lungo e difficile.
Come è naturale che sia, questa tecnica è stata soppiantata dalle fibre "moderne" specie quelle sintetiche. Anche il cotone a basso costo ha fatto la sua parte per ridurre a ricordo un metodo vitale specie per la popolazione calabrese (patria del filato di ginestra).

PERCHÉ E' IMPORTANTE RIQUALIFICARE QUESTA FIBRA?

Alleghiamo un video veramente molto bello. Un documentario completo sull'estrazione e la lavorazione della fibra di ginestra.
Ciò che si nota non è tanto il procedimento i sé ma ciò che ne deriva: solidarietà, comunità, amicizia e socializzazione. Tutto questo unito da una pianta.
Il senso di gruppo e di solidità di una società viene rafforzato con il lavoro comune. Ognuno ha il suo ruolo, ognuno la sua soddisfazione nel vedere il risultato finale.

PUÒ TORNARE AD ESSERE UNA RISORSA ECONOMICA?

Secondo noi sì. Certo non lavorandola come si vede nel video ma in maniera più "industrializzata" nei limiti della sostenibilità.
E' una buona coltivazione che potrebbe aiutare a far tornare terreni incolti a reddito e stabilizzare versanti a rischio di dissesto, grazie alle forti radici che si perdono nel tempo e nello spazio. 

GUARDATEVI IL VIDEO:


mercoledì 12 giugno 2013

L'utilità dell'infestante

Anche oggi vorremmo partire da una foto.
Conoscete questa pianta?


E' una fitolacca (Phytolacca americana).
Una pianta molto comune negli incolti.
Il genere Phytolacca è composto da specie prettamente erbacee anche se in alcuni casi possono raggiungere alcuni metri di altezza attraverso un ispessimento del fusto che non è comunque composto da vero legno.

Perché parlare di questa "piantaccia"?!
E' infestante, possiede un apparato radicale massiccio difficile da estirpare, le sue bacche macchiano in modo quasi indelebile i tessuti e i suoi semi hanno una germinabilità elevata che ne facilita la diffusione.

Quello che i giardinieri indicano con il termine "Brutta bestia".

Ebbene. Questa pianta possiede una grande proprietà nascosta.
E' in grado di prevenire le malattie virali delle piante. Insieme a Ricinus comunis e Saponaria officinalis, la  Phytolacca produuce una sostanza che inibisce il metabolismo dei virus.
In particolare Phytolacca produce una proteina antivirale (PAP) in grado di attaccare direttamente l'RNA del virus denaturandolo. Uccide il virus attaccando il suo patrimonio genetico.

Già alla fine del 1800, gli studiosi avevano osservato che l'estratto di Phytolacca preveniva il formarsi di malattie dovute ad agenti infettivi non visibili (quelli che poi sarebbero stati chiamati virus).

C'è solo un difetto non trascurabile: la rapidità di intervento.
E' da osservare che si può combattere un virus con l'estratto della Phytolacca solo quando il virus non è ancora entrato nella pianta. Più che una cura deve essere quindi un trattamento di prevenzione.
E' solo quando virus e PAP sono a contatto diretto, all'esterno della pianta, che la battaglia può avere inizio.


La foto qui sopra mostra due foglie di tabacco. Entrambe sono state irrorate con il virus della necrosi del tabacco (TNV). Solo la seconda, però, è stata irrorata anche con estratto di Phytolacca dioica. Il risultato è ben visibile: la prima mostra i classici sintomi della malattia mentre la seconda non ha alcun sintomo visibile.

La prossima volta che la incontrerete sulla vostra strada ricordatevi della sua importanza anche se, dopo avervi macchiato con le sue bacche violacee, vi verrà voglia di eliminarle tutte!
 
ALTRE FOTO DI Phytolacca: click QUI! 



sabato 8 giugno 2013

L'equilibrio dell'orto

Per introdurre l'argomento odierno cominciamo a guardare questa foto:


Noterete subito l'ordine e la pulizia di questo orto. Veramente uno spazio tenuto in modo impeccabile.
La bellezza percepita dalle persone si scontra, però, con l'equilibrio naturale. Si può dire che il nostro senso estetico non è ecocompatibile.
Salvo eccezioni particolare (es: deserti, roccia nuda) non esiste al mondo una superficie terrestre che non sia colonizzata da piante. La terra nuda non è naturale.
Pensiamoci. Ogni terreno lasciato libero viene coperto in breve tempo di essenze erbacee e, se lasciato incolto, potrà evolvere verso una copertura arborea. E' l'evoluzione naturale più comune.
Ogni volta che noi cerchiamo di andare contro questa strada evolutiva dobbiamo investire energia sempre maggiore per contrastare la naturalità degli eventi.

Capiamo che un orto come quello mostrato in foto si allontana dall'equilibrio naturale perchè lascia notevole spazio vuoto, terra scoperta. Per mantenerlo tale è necessario strappare le nuove erbacce che continueranno a crescere. Noi dobbiamo immettere nel sistema sempre nuova energia: diserbanti (energia chimica) o motozappe (energia meccanica).

Ora guardate questa foto:


Esteticamente è un orto meno "bello" rispetto al precedente.
Possiamo però subito notare che non esiste porzione di terra nuda. Tutto è coperto dalle coltivazioni in atto e da uno strato di materiale naturale di vario genere.
Nel caso specifico vediamo un orto sperimentale in cui si sta procedendo a diversi esperimenti di copertura. Dalla classica paglia, alle foglie fino all'utilizzo della lana.

La composizione e la struttura del terreno non è adatta a sostenere l'irraggiamento del sole. I preziosi microrganismi presenti non sopportano il bombardamento dei raggi UV e l'erosione aumenta in modo esponenziale su un suolo nudo; per questo noi dobbiamo proteggerlo con una copertura "artificiale".
Altra caratteristica da non sottovalutare è la minor evaporazione d'acqua. Il terreno pacciamato mantiene l'umidità ed evita pericolosi stress idrici alle colture in atto.

In questo caso è l'uomo a decidere che copertura adottare, evita la naturale crescita spontanea di erbe infestanti fornendo un'alternativa: uno strato di materiale morto.

Attraverso quest'azione noi assecondiamo la naturalità degli eventi evolutivi utilizzando però materiali scelti arbitrariamente da noi e permettendo al sistema di sostenersi senza immettere energia in continuo.

Si possono utilizzare differenti materiali in purezza o miscelati. La scelta si può calibrare in base al tipo di terreno, al clima, alla reperibilità del materiale, alla superficie da coprire, ecc...

La paglia, per esempio, è un materiale durevole. Ha bisogno di climi umidi altrimenti persiste per troppo tempo senza degradarsi, si può utilizzare in terreni compatti così che, finita la coltivazione, si può interrare e favorire una migliore struttura del suolo.
Le foglie sono, generalmente, di più veloce degradazione (la velocità dipende dal tipo di foglia) quindi può andar bene in climi più asciutti.
Insomma, ogni materiale ha il suo luogo ideale d'utilizzo.

Ognuno di noi può sperimentare e affinare la sua tecnica nel corso degli anni.

Non importa quale sarà la vostra tecnica ma ricordatevi: un terreno nudo non è naturale!